"L’uomo crede di volere la libertà, in realtà ne ha una grande paura. Perché? Perché la libertà lo obbliga a prendere decisioni e le decisioni comportano rischi" (Erich Fromm)

OBBLIGO VACCINALE: UNA GUERRA NON NOSTRA!


La reazione avversa dei Dirigenti scolastici di Anp che rifiutano lo scontro sui vaccini

La legge 119/2017, che ha introdotto l'obbligo vaccinale, ha anche imposto a noi Dirigenti scolastici di provvedere direttamente all'esclusione dalle scuole degli alunni dell'infanzia non in regola con le vaccinazioni. Trasferendo negli Uffici di presidenza (o, peggio ancora, ai cancelli d'ingresso delle scuole) gli aspetti più gravi di questa contrapposizione ideologica.

Ma le scuole sono luoghi che, per mandato sociale, devono garantire la qualità e la bontà delle relazioni educative e formative, a tutela della crescita e della migliore progettualità e serena condivisione delle idee e delle pratiche. Noi ci impegnano realmente, ogni giorno, a realizzare accoglienza e rispetto e sostegno reciproco, strategie di ascolto e di partecipazione. E ciò per tutti gli alunni, di tutti gli ordini, con particolare impegno per gli alunni dell'infanzia che affrontano i primi mesi e anni di scolarizzazione.

Ora, però, l'obbligo vaccinale attribuisce a noi Dirigenti il peggior compito possibile: escludere gli alunni dalle lezioni, qualora i genitori avessero ritenuto di non vaccinarli. E' paradossale che i Dirigenti debbano divenire esecutori materiali dell'allontanamento, dell'esclusione, del rifiuto dei propri iscritti.

Siamo tutti tenuti a rispettare e applicare la Legge, noi Dirigenti, come anche i docenti e genitori. Ma questa legge dà vita a un conflitto che, semplicemente, non dovrebbe svolgersi a scuola. E i Dirigenti si ritrovano nel mezzo: fra le famiglie NoVax, da un lato, che già minacciano azioni legali se non accoglieremo i loro figli; le altre famiglie, dall'altro, che promettono azioni altrettanto feroci se non saremo solleciti nell'escluderli.

Ma noi Dirigenti scolastici crediamo che allontanare da scuola un bambino di 3 o 4 o 5 anni sia gravissimo, se non traumatico. Specie a causa di motivazioni che lui per primo non sarà in grado di comprendere pienamente. Tali conseguenze, forse sottovalutate all'inizio dai decisori politici, necessitano di ulteriori e ampie riflessioni pubbliche.

Noi non siamo virologi, né scienziati, né politici: la nostra vera competenza è quella sociale, culturale, relazionale. Abbiamo competenze specifiche nel costruire relazioni di fiducia e di comprensione e condivisione con le famiglie, che devono necessariamente essere i nostri partners educativi e formativi. Abbiamo competenze nel promuovere una cultura del rispetto delle diversità. Realizziamo occasioni e progettualità che sviluppano la cultura scientifica e di ricerca, che promuova lo sguardo critico dei nostri allievi nei confronti di quanto avviene nel mondo. Le conseguenze del conflitto generato dall'obbligo vaccinale, invece, non ci riguardano.

Per prevenirle nel corso degli ultimi mesi abbiamo organizzato dibattiti e incontri nelle scuole sul tema e accolto le preoccupazioni, le paure, i dubbi di molti genitori.

A ben guardare, anche di queste azioni avrebbe dovuto farsi carico il Ministero della salute, sui diversi territori, con le competenze e le risorse più idonee. Ma noi Dirigenti scolastici ce ne siamo occupati volentieri: su molti temi importanti, come questo, spesso le scuole diventano agorà che valorizzano il confronto e l'informazione onesta, la divulgazione scientifica. Ma non vendiamo persuasione, non commerciamo opinioni né dati.

Su un argomento poi così delicato e intrusivo, in particolare, la scuola non può farcela da sola: vi si intrecciano fattori complessi come le predisposizioni individuali, la percezione e l'esposizione selettiva, le relazioni interpersonali e professionali, la pressione del gruppo e magari l'ascendente personale di un solo genitore...La scuola avrebbe necessità di fare rete con altre agenzie educative e formative, con le quali è ben disposta a lavorare. Ciò per continuare a sostenere all'interno delle classi il necessario clima di moderato compromesso, di continua negoziazione degli interessi personali e di gruppo, del confronto pacato e della libera espressione delle proprie opinioni, in un processo mai interrotto di apprendimento e di socializzazione dei problemi e delle opportunità.

In conclusione, siamo convinti che la scuola non debba diventare bersaglio espiatorio delle tensioni sociali. Né noi Dirigenti essere costretti a scegliere fra assumere la parte di vittime (“dobbiamo applicare la legge”) o quella di insensibili carnefici (“non rischio il licenziamento sancito dalla legge!”). Perché in tema di salute pubblica, la scuola può impegnarsi a realizzare progetti di prevenzione. E in tema di salute educativa e sociale, può realizzare interventi concreti, giocando all'attacco tutte le partite. Ma quella dell'espulsione dal campo dei giocatori (i nostri alunni), invece, è un ruolo da arbitri o da giudici di gara che, a priori, non ci appartiene.

Costringerci a giocare questa partita, o questa guerra, da giustizieri, significherebbe perdere tutti.

LA DIRIGENTE SCOLASTICA
Dott.ssa Maria Gabriella PARENTE